Wednesday, 27 August 2014

My first video with GoPro





                                     W

Friday, 22 August 2014

The big deal


A Parigi le sere d'estate arrivano tardi, le persone che restano in città affollano i bistrot, mangiano con una luce diagonale e le ombre si allungano sui tavoli fuori e sulle vetrate.
Il ristorante dove lavoro non ha tavoli fuori, è un piccolo ristorante di cucina italiana che fa angolo tra rue Thouin e rue cardinal Lemoine . Saranno in tutto una ventina di tavoli, oggi è il mio primo giorno, il giorno di prova. Arrivo in anticipo di una buona ventina di minuti, sono il primo, il ristorante è ancora chiuso.
Sono in due a gestire il lavoro, l'uomo, di Lucca, un signore dall'aspetto cordiale sulla sessantina, lavora in cucina. La donna, di Roma, gestisce tutto il resto compreso me. Per qualche minuto mi mostra il da farsi poi mi mette uno straccio in mano, pulisco il locale.
mezz'ora più tardi è tutto pronto, le persone iniziano ad arrivare. Quattro inglesi sono i primi, li servo, parlano inglese, non è un problema, ma non ho alcuna idea sui piatti che si preparano in questo ristorante, ne quali vini o dolci abbiamo, non c'è stato tempo per spiegarmelo, improvviso.
Arrivano altre persone, si distribuiscono nel locale fino a riempirlo. Persone finiscono altre si siedono ai tavoli ancora da sparecchiare, il ritmo diventa infernale, la signora (il mio capo) accelera il passo, inizia a catapultarsi da un tavolo all'altro lanciandomi dei consigli che si perdono tra i rumori dei tavoli. Cammino da una parte all'altra, tolgo i piatti, sorrido, pardon..? we certament..! Prendo i piatti in cucina e li servo, ho sempre la senzazione di aver sbagliato tavolo, non ho riferimenti sicuri, spesso sbaglio tavolo. Pardon Mensieur!
Suona il telefono, faccio finta di niente, mi viene ordinato di rispondere, dalla cornetta esce una voce francese lontana, ordina qualcosa di indecifrabile per me, scrivo nomi di persone e di pizze che non esistono.
In qualche modo arrivo alla fine del servizio, sette ore. Sono stati serviti quattro volte tutti i tavoli, un'ottantina di persone, in due, il primo giorno. Sono circa le due, mangio insieme ai proprietari, abbiamo una conversazione piacevole, beviamo vino e fra le parole capiamo entrambi che questa esperienza non andrà oltre ma ci salutiamo da amici.
Prendo il denaro: trenta euro più diciassette di mancia, non li conto nemmeno, li metto appallottolati nel taschino della camicia, accendo una sigaretta, chiudo la porta del ristorante alle mie spalle e mi incammino verso casa. Parigi è deserta, l'aria della notte è piacevole, guardo la città, intravedo i soldi nel taschino, ho bevuto alcuni bicchieri di vino, l'alcool mescolato alla stanchezza mi deprime, mi sento addosso la pesantezza della vita, cammino solo, la grande rue Monge è deserta, Parigi è solo grandi palazzi, io sono a corto di idee.
Mi sveglio l'indomani verso le quattro del pomeriggio, faccio il cat sitter, questo è il motivo per cui ho una casa a Parigi, per sette giorni, tutto è precario. Apro la finestra, sotto Parigi è sveglia da un pezzo, suono un brano nel grande piano che c'è al centro della sala e immagino la musica uscire dalla finestra e passare accanto ai passanti, giù giù fino ai giardini botanici e ai bordi della Senna.
Preparo un caffè francese, lo metto in una grande tazza e mi metto al computer. Tramite facebook trovo un link interessante, servizio volontario europeo: Turchia, Mersin sul versante mediterraneo, tematica ambientale, monitoraggio delle spiagge, salvaguardia delle tartarughe in via d'estinzione, due mesi, tutto pagato. Scarico il modulo, tutto procede senza pensare troppo, scrivo la mia lettera di motivazione, rispondo alle domande: perchè vuoi partecipare a questo progetto? perchè dovremmo scegliere proprio te? rispondo e chiarisco le mie idee: potrei viaggiare... Il tempo non è abbastanza, mai.... Se non inizio il master quest'anno non posso usare il mio tempo in un ristorante.
Guardo il tavolo, i soldi che ho guadagnato ieri sono ancora lì appallottolati con le monete sparse intorno. Finisco di compilare i moduli, il curriculum, la lettera. Posiziono la fotocamera davanti a me, faccio una foto mentre sto pensando all'idea di andare in Turchia per il progetto, ne esce un sorriso obliquo e uno sguardo complicato. Uso i soldi di ieri per pagare la quota d'iscrizione.
Mi sento meglio, la vita, sotto, prosegue, a Parigi è ancora una volta notte, fumo dalla finestra della sala, me ne fotto delle regole della padrona di casa. Vedo rue Monge e le sue luci, da qui riesco a vedere diciotto semafori, le luci si alternano, alcune strade si chiudono altre si aprono.
The turtle beach, Mersin
17/08/2014


W

Saturday, 2 August 2014

Il Mont Ventoux in citybike



Il Mont Ventoux è due montagne. la prima parte dai settecento metri di altitudine, dal paese di Sault, versante nord, arriva fino ai meno sei chilometri dalla vetta, ad un'altitudine di milletrecento metri circa: questa montagna è estremamente accogliente anche per noi, che vestiti di strani colori e muniti di caschi due o tre misure più grandi delle nostre pazze teste, ci apprestiamo a salire la montagna con delle terribili e pesanti citybike!

La strada in questo primo tratto è rotondeggiante e avvolge a spirale la montagna per circa venti chilometri, le pendenze sono moderate, ideali per l'ascesa. Questa sensazione di accoglienza la si avverte non la si osserva. Come la freschezza dell'aria di montagna e la sensazione di pulizia che si prova dentro: i polmoni hanno respiro profondo e regolare, la pedalata è leggera e costante, la mente libera e in autonomia, si osservano i pensieri, si avvertono le cose.

C'è tempo per chiacchierare, ci sentiamo in gran forma, Uli, il mio compagno, il tedesco, marcia sicuro davanti a me deciso a mostrarmi la sua supremazia, scherziamo, gli ricordo ad ogni chilometro che la vecchiaia non va sfidata e che se stanco può attendere gli altri vecchi e salire insieme a loro! Uli, il tedesco, ride, improvvisa una spiegazione tecnica sul perchè lui arriverà prima e così saliamo, salutiamo tutti, poi li deridiamo, ci sentiamo di gran lunga i migliori.

I diversi versanti per salire il Mont Ventoux si uniscono tutti ai meno sei, da lì c'è una sola via per arrivare in cima, da lì è un'altra montagna, da lì è un'altra storia.

Il paesaggio diventa desertico, sabbia e pietre, la strada sale vertiginosa. 
Arriviamo ai meno sei convinti più che mai, svoltiamo l'ultimo tornante con un fare quasi tecnico, e no, non ci fermiamo dove tutti si fermano prima della scalata, siamo più curiosi che intelligenti. Armeggio con il portapacchi posteriore della mia citybike, prendo le banane e la cioccolata, ne passo metà al tedesco, cominciamo a salire. Il boccone è piuttosto difficile da mandare giù, in pochi metri abbiamo fiato corto, la velocità di una lumaca, il vento che a sprazzi ci inchioda al terreno!

Diventiamo seri come non lo siamo mai stati negli ultimi due mesi io e il tedesco, rallentiamo il passo ma cercando una costanza nella velocità, il margine con l'ultima marcia, quella più leggera, si assottiglia sempre di più, questo non mi mette di buon umore, salgo, piano, il tedesco è avanti a me ma non lo vedo, guardo in basso, ai miei piedi, ora penso solo a me, la strada scorre lenta, per me e la mia citybike è il limite. il tempo scorre lento, entro in un banco di nebbia negli ultimi due chilometri, probabilmente è una nuvola, il paesaggio diventa lunare, si scorgono massi e terra, il freddo si fa sentire sulle mani e sul viso, ho difficoltà ha cambiare marcia. Questo è il momento in cui penso che non sia possibile per me arrivare in cima, ma scorgo il cartello dell'ultimo chilometro, mi da energia, ma se ne vola via con una folata che mi inchioda letteralmente sul posto. Nell'ultimo chilometro il vento è pazzesco, ho la marcia più leggera, sono alla frutta, ma la montagna è finita. Scorgo sopra di me il faro bianco della cima del Mont Ventoux, un'ultimo tornante, lo supero, millenovecentottanta metri, sono arrivato, ma non so quando fermarmi, quando appoggiare il piede per terra, voglio essere sicuro che sia proprio la fine fine, proseguo, vedo un gruppo di molte biciclette, gente che si disseta, in mezzo alla folla vedo il tedesco che nonostante sia distrutto cerca di vantarsi con gli altri ciclisti di essere arrivato in cima con quel ferraccio, alcuni sono stupíti, altri si sentono offesi, mi vien da ridere a vedere la scena, mi sento come ubriaco, non riesco a fermare il sorriso, iperventilazione, guardo il tedesco e rido rumorosamente, siamo diversi dagli altri ciclisti che se ne stanno tranquilli, ci abbracciamo io e il tedesco, proviamo a sollevare le gambe per gioco, pesano almeno tre volte tanto, con un sorriso drogato, diciamo entrambi: I AM DIE!!
Probabilmente per esprimere il concetto opposto.

W.